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MANUALE PER LA PREVENZIONE DIAGNOSI E TERAPIA DELLE REAZIONI ALLERGICHE AL VELENO DI IMENOTTERI

Codice: EDITORIALE PREVENZIONE DIAGNOSI E TERAPIA DELLE REAZIONI ALLERGICHE AL VELENO DI IMENOTTERI


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Dettagli:

La pericolosità delle reazioni che possono verificarsi in seguito alla puntura di un imenottero è nota fin dall’antichità. Un geroglifico ritrovato nella tomba del faraone Menes descrive la sua morte avvenuta nel 2621 a. C. quasi immediatamente dopo la puntura di un calabrone. La puntura di un imenottero è un evento imprevedibile in grado di provocare una sintomatologia estremamente variabile, da una lieve reazione locale ad una sistemica, fino allo shock anafilattico.

Per secoli i soggetti sensibili hanno utilizzato vari espedienti per cercare di prevenirle e rimedi per trattarne le conseguenze. La dimostrazione, relativamente recente, dell’eccellente efficacia del vaccino con veleno purificato ha cambiato radicalmente la qualità della vita di quanti oggi scelgono di sottoporsi a tale trattamento.

Le reazioni successive alla puntura degli imenotteri riconoscono due meccanismi fondamentali: nella maggior parte dei casi sono dovute ad una sensibilizzazione allergica, mediata da immunoglobuline IgE, che può essere adeguatamente trattata con l’immunoterapia specifica; in altri casi sono legate ad un’azione tossica o irritante del veleno, che si verifica soprattutto in seguito ad un numero più o meno elevato e contemporaneo di punture.

Queste manifestazioni sono meno immediate di quelle immunoallergiche, e regrediscono più lentamente. Nell’area mediterranea la reazione allergica al veleno degli imenotteri è generalmente provocata da punture di api (Apis mellifera) e di quelle che vengono comunemente chiamate vespe, ma che rappresentano specie diverse come la Vespula (Germanica e Vulgaris), la Dolichovespula (Media e Silvestris), la Vespa Crabro o Calabrone e i Polistes (Dominulus, Gallicus, Nimphus, Biglumis).

Avere a disposizione degli elementi che possono portare alla identificazione dell’insetto pungitore e conoscerne le abitudini comportamentali è utile al medico per formulare una corretta diagnosi e al paziente per evitare la puntura. Abbiamo pensato di iniziare questo manuale con una breve descrizione dei principali elementi morfologici e comportamentali degli insetti pungitori, per passare successivamente a delle considerazioni epidemilogiche sulle possibilità di essere punti e sulle eventuali conseguenze.

Abbiamo, infine, fatto un’ampia descrizione delle procedure diagnostiche e fornito elementi utili per prevenire eventuali punture o trattarne i possibili effetti.

BIOLOGIA DEGLI IMENOTTERI DI INTERESSE ALLERGOLOGICO, PRESENTI IN ITALIA

Gli Imenotteri sono un gruppo molto vasto e ben definito di insetti sociali, olometaboli, cioè a metamorfosi completa. Caratteristica comune degli insetti sociali è l’organizzazione in colonie con la presenza di sistemi difensivi nei confronti dei predatori, che comprendono meccanismi di difesa passiva e attiva, come la scelta di particolari luoghi per nidificare, le caratteristiche architettoniche del nido e la produzione di secrezioni repellenti. Si riconoscono i subordini Symphyta con addome sessile e Apocrita con addome peziolato, diversi tra loro sia per il numero di specie, che per il comportamento

. La sezione degli aculeati interessa la patologia umana, in quanto comprende delle specie che con la loro puntura possono provocare reazioni anafilattiche. Nella tabella I vengono riportate le principali specie di aculeati di interesse allergologico, presenti in Europa. Elemento caratterizzante degli Aculeati è la trasformazione dell’apparato ovopositore in un aculeo.

Questo è in grado di penetrare nella pelle di animali di piccola e grossa taglia, uomo compreso, e viene utilizzato per la cattura delle prede o per la difesa della prole. Tra i Formicidi e i Betilidi solo alcune specie hanno mantenuto un aculeo funzionale. Recentemente negli USA è stata importata accidentalmente la formica di fuoco (Solenopsis Savissima), che crea grossi problemi dal punto di vista allergologico.

Ape

Le api sono gli insetti sociali più conosciuti e studiati, indispensabili per l’impollinazione di diverse piante. L’Apis mellifera è la specie che viene universalmente utilizzata per la produzione di miele e cera, che l’uomo ha imparato a prelevare ed utilizzare fin dalla preistoria. Le api sono ubiquitarie anche per le caratteristiche delle loro società, che le rendono capaci di adattarsi a climi abbastanza diversi sia in pianura che in montagna. Nonostante l’uomo sia in grado di regolarne la nidificazione, costringendole a vivere in appositi alveari, è possibile ritrovare colonie “selvatiche” installate in luoghi protetti, quali alberi cavi o vecchie costruzioni.

Il nido (fig. 1) è formato da favi costituiti da migliaia di cellette di cera prodotta da ghiandole gastrali delle operaie. Nelle cellette vengono allevate con miele e polline le larve di operaie e di maschi sviluppatesi dalle uova deposte dalla regina. Le larve delle future regine vengono allevate in speciali celle. Quando la colonia comincia a superare un certo numero di individui la vecchia regina lascia il nido seguita da una parte delle operaie e va a fondare una nuova colonia. Una sola delle nuove regine sopravvive e, dopo essersi accoppiata in un volo nuziale, torna al nido e inizia a deporre le uova.

Durante l’inverno la colonia subisce una riduzione del numero di individui e sopravvive utilizzando le riserve zuccherine accumulate nella buona stagione. Ai primi tepori della primavera le operaie riprendono la loro attività. La difesa della colonia è essenziale per tutti gli insetti sociali, i membri di una società devono difendere non solo se stessi, ma anche la prole immatura e le riserve alimentari. Le api guardiane stazionano all’entrata dell’alveare a difesa del nido e diventano particolarmente aggressive quando la colonia viene minacciata. Si tratta di insetti ormai adulti, che presentano serbatoi del veleno pieni.

Il perimetro difensivo è la zona in cui più facilmente possono verificarsi attacchi, in genere si estende per un raggio massimo di 10-12 metri dall’arnia. Dal nido si dipartono dei corridoi aerei, che vengono detti piste. Questi sono in genere situati ad un altezza di 5-10 metri dal suolo con una larghezza di 2-4 metri, l’altezza può abbassarsi in caso di cattivo tempo. La violazione delle piste da parte di altri esseri viventi viene considerata una minaccia e provoca la reazione delle api.

i. In prossimità dell’alveare gli attacchi non sono limitati a singoli insetti, in quanto i feromoni, che si sprigionano dal pungiglione, sono in grado di richiamare e guidare sull’obiettivo altre api. Nelle aree di raccolta i fenomeni di aggressività nei confronti dell’uomo sono di bassa intensità.

Le api (fig. 2) hanno corpo tozzo di colore nero e bruno rossastro, ricoperto da peluria, dimensioni variabili da 1 a 1,5 cm.

Il pungiglione (fig. 5) è lungo circa 2,5 mm ed è situato all’estremità dell’addome in una cavità dalla quale viene estroflesso, è composto da tre parti, una dorsale (lo stiletto) e due laterali (le lancette) ricoperte di peli. Quando il pungiglione penetra nella pelle le lancette si spostano in alto e in basso alternativamente, spingendo il veleno nella ferita.

L’apparato pungitore resta ancorato fortemente nella cute, per cui diventa impossibile retrarlo. Quando la vittima cerca di liberarsi dall’ape ne distacca il pungiglione, che continua ad espellere veleno mediante la contrazione ritmica della muscolatura del sacco. Per tale motivo è importante rimuovere immediatamente il pungiglione con un rapido raschiamento della cute con l’unghia o con una lama, evitando di comprimere il sacco velenifero tra le dita, perché così si faciliterebbe l’inoculazione del veleno.

Bombo

I bombi sono insetti utili per l’impollinazione di alcune piante. Da qualche anno vengono allevati ed utilizzati per l’impollinazione in serra (fig.4) e rappresentano un potenziale pericolo per i lavoratori. Il bombo (fig. 3) è più grande dell’ape, ha una dimensione variabile da 2 a 3 cm a seconda della casta, corpo massiccio di colore nero con striature e macchie di colore bianco ed ocra, ricoperto di peluria, pungiglione liscio.

Questi insetti, generalmente, costruiscono i loro nidi nel terreno, sfruttando vecchie tane di animali o di uccelli, le cellette sono realizzate con la cera prodotta dalle ghiandole gastrali delle femmine.

Le regine trascorrono l’inverno in luoghi riparati ed in primavera cercano una buona posizione per fondare il proprio nido. Le colonie possono raggiungere in media un centinaio di individui. Sono insetti scarsamente aggressivi e pungono solo se provocati.

Vespula

Il genere Vespula comprende varie specie, quelle più comuni nel nostro paese sono la V. vulgaris e la V. germanica. Questi vespidi sono quelli che più frequentemente vengono in contatto con l’uomo per la loro abbondanza, l’ubicazione delle colonie, le abitudini alimentari e la relativa aggressività. 

Le vespule (fig. 7) hanno corpo slanciato con netto restringimento tra torace ed addome, di colore giallo con striature e macchie nere, privo di peluria, dimensione variabile tra 1,5 e 2 cm a seconda della casta, pungiglione quasi liscio (fig. 6), che può essere retratto dalla pelle per ripungere o per fuggire.

Generalmente costruiscono i loro nidi, costituiti da più favi (fig. 8), protetti da involucri cartacei a più strati, in cavità sotterranee, raramente in alberi cavi o solai di vecchi edifici. L’involucro assicura una maggiore protezione nei confronti dei predatori e un migliore controllo delle condizioni di temperatura ed umidità.

La distruzione o il danneggiamento casuale del nido, nel corso di lavori agricoli, scatena la reazione di questi insetti, che attaccano in massa il presunto aggressore. Il ciclo coloniale è annuale, nei mesi di luglio ed agosto le colonie contano migliaia di operaie, che vengono difese nel raggio di alcuni metri dai nidi

Le vespule si nutrono di insetti e di alimenti di vario tipo, quali frutta matura, liquidi zuccherini, carne e pesce, che spesso sottragono all’uomo, reagendo aggressivamente ai tentativi che questo fa per scacciarle. La loro aggressività è maggiore nei mesi più caldi, quando le colonie sono all’apice dello sviluppo.

Appena le operaie di guardia danno l’allarme, il segnale viene rapidamente comunicato a tutta la forza disponibile tramite vibrazioni nel nido e liberazione di feromone di allarme. L’attacco è preceduto da un intenso ronzio, provocato dalle vibrazioni delle ali. In genere colpiscono la preda tutte nella stessa zona del corpo, guidate dal feromone.

Vespa crabro italica o Calabrone

Il calabrone è la più grande vespa sociale presente in Europa. In Sicilia e in alcune zone del meridione è presente anche la Vespa orientalis, che è leggermente più piccola del calabrone.

I calabroni (fig. 9) hanno corpo massiccio di colore giallo, nero e ruggine, quasi glabro, zampe robuste, dimensioni variabili da 2,5 a 3,5 cm a seconda della casta, pungiglione liscio. I nidi (fig. 10) sono, generalmente, costruiti in alberi cavi, ma si possono trovare anche in cavità sotterranee e in solai di vecchi edifici.

La Vespa crabro è moderatamente aggressiva e presenta anche attitudine al volo notturno. Il ciclo coloniale è annuale e la fondazione del nido avviene in aprile-maggio, da parte di una regina solitaria. All’inizio di giugno cominciano a nascere le prime operaie e la colonia aumenta gradatamente sia in dimensione che in numero di abitanti, fino a raggiungere circa 1000 individui nel mese di agosto. In questo periodo i maschi si librano nell’aria e le operaie iniziano la costruzione delle celle regali, dalle quali in settembre cominciano ad uscire le future regine. Verso ottobre-novembre muore la vecchia regina e si sfalda la colonia.

Dolichovespula

Nel nostro territorio sono presenti la D. sylvestris e la D. media, quest’ultima è la più grande specie di vespa sociale dopo il calabrone, presente in Italia. Hanno tronco robusto, ma non tozzo, privo di peluria, di colore giallo e nero, lunghezza da 1,9 a 2,5 cm a seconda della casta (fig. 11), pungiglione liscio.

Costruiscono i nidi (fig. 12) su arbusti o alberi anche a vari metri dal suolo, inglobando nella costruzione anche foglie e rametti. In genere sono meno aggressive delle vespule e diventano più temibili in prossimità del nido.

Polistes

Il genere Polistes è cosmopolita e conta più di 150 specie. In Italia nelle zone pianeggianti e collinari ritroviamo soprattutto P. dominulus, P. gallicus, P. nimphus, sulle Alpi e sulle vette degli Appennini è presente P. biglumis.

I Polistes (fig. 13) hanno corpo affusolato di colore nero a strisce gialle, privo di peluria, zampe lunghe e sottili, dimensioni variabili da 1,3 a 2 cm. Il pungiglione ha forma cilindrica con un diametro superiore a quello dell’ape, ma non seghettato, questo permette di retrarlo dalla pelle per reinserirlo o per fuggire dopo la puntura.

Il veleno viene espulso istantaneamente per la presenza di una spessa guaina muscolare nel sacco velenifero. Il ciclo coloniale inizia in primavera, le femmine fecondate, che hanno trascorso l’inverno in siti riparati, iniziano la costruzione di un nuovo nido. Questo è costituito da un unico favo privo di involucro (fig. 14) che in alcune specie viene posizionato in luoghi particolarmente caldi sotto le tegole dei tetti o tettoie, dentro tubature di ferro o veicoli abbandonati.

Nel P.dominulus le colonie possono raggiungere dimensioni abbastanza rilevanti, in quanto più femmine fecondate possono associarsi nella fondazione del nido. Tra queste femmine, a seguito di combattimenti preliminari, si stabilisce una gerarchia di dominazione lineare, in base alla quale una sola, la regina dominante, resta in grado di deporre le uova, mentre le altre svolgono funzioni di operaie.

In caso di morte della dominante le subentra quella che si trova nella posizione gerarchica immediatamente successiva. P. gallicus e P. nimphus costruiscono i loro nidi su arbusti, a circa 30-80 cm da terra il gallicus, molto più vicino al suolo il nimphus . Verso metà luglio si ha il massimo di espansione della colonia ed è il momento in cui gli insetti diventano più aggressivi. I maschi iniziano voli di pattugliamento nelle ore più calde della giornata, nel corso dei quali si accoppiano con le femmine future fondatrici.

Una volta fecondate, le femmine si mettono alla ricerca di un posto adatto per lo svernamento, nel quale si trasferiscono definitivamente all’arrivo della cattiva stagione.

CARATTERISTICHE DEL VELENO DEGLI IMENOTTERI

Le punture degli imenotteri causano reazioni allergiche in soggetti sensibili mediante l’interazione delle IgE specifiche con gli allergeni presenti nel veleno di questi insetti. In esso accanto alle sostanze allergizzanti, generalmente ad alto peso molecolare, si riscontrano anche delle amine biogene a basso peso molecolare, che nell’uomo hanno un effetto puramente irritante o tossico.

Negli animali di piccola taglia queste ultime sostanze hanno effetti prevalentemente neurotossici e sono in grado di paralizzarli o ridurli all’impotenza, mentre quelle ad alto peso molecolare, rappresentate da enzimi, hanno la funzione di facilitarne la penetrazione nei tessuti. Nell’uomo le sostanze tossiche provocano soprattutto dolore e gonfiore nella sede di puntura e possono dare reazioni sistemiche solo quando vengono inoculate in eccesso in seguito a numerose punture contemporanee.

In rarissimi casi questo effetto può risultare addirittura letale. Tra le molecole ad alto peso molecolare ritroviamo tre allergeni principali: la fosfolipasi, la ialuronidasi e l’antigene 5. La fosfolipasi è dotata di alto potere allergenico e bassa omologia di sequenza aminoacidica, con differenze importanti tra una specie e l’altra. Quella delle api ha un peso molecolare di circa 16 KD e viene identificata come A2 (Api m 1). Le fosfolipasi dei vespidi hanno un peso molecolare di circa 35 KD e vengono identificate come A1 (Ves v1, Pol a 1, Vesp c 1, Dol m 1).

La ialuronidasi è una glico-proteina di circa 39 – 45 KD con un’omologia di sequenza molto più alta della fosfolipasi, a seconda delle specie viene distinta in Api m 2, Ves v 2, Pol a 2, Dol m 2. Nel veleno delle api sono stati identificati anche degli allergeni minori quali: la fosfatasi acida (Api m 3), la proteasi (Api m 6) e la mellitina (Api m 4), formata da 26 aminoacidi. Quest’ultima rappresenta il maggior costituente del veleno (circa il 50% del peso secco), anche se possiede un minore potere allergizzante.

La mellitina provoca il dolore e lo stato infiammatorio, ha attività emolitica, che esplica agendo sulla permeabilità della membrana, ha azione litica sui leucociti, aumenta la permeabilità capillare e abbassa la pressione arteriosa. In alte dosi può provocare paralisi respiratoria, la sua azione viene potenziata dalla ialuronidasi e dalla fosfolipasi. L’antigene 5 è un allergene maggiore del veleno dei vespidi, ha un peso molecolare di circa 25 KD e si modifica poco tra una specie e l’altra, viene distinto come Ves v 5, Pol a 5, Vesp c 5, Dol m5. Nel veleno di polistes è stata isolata una serina-proteasi di circa 36 KD e studi recenti hanno evidenziato che soltanto quella presente nelle specie europee ha un forte potere allergenico.

La quantità di veleno contenuta nel sacco velenifero varia da specie a specie ed anche nell’ambito della stessa specie. Il sacco velenifero delle api contiene una quantità che varia tra 32 e 160 µg di proteine del veleno. Pertanto, è importante fare attenzione nell’estrarre il pungiglione, al fine di evitare di iniettarlo tutto.

Il sacco del bombo contiene da 33 a 160 µg di proteine del veleno. Le vespe possono pungere più volte e quindi, generalmente, non iniettano tutto il contenuto del sacco in una singola puntura: il sacco del veleno del Polistes contiene da 25 a 120 µg, il calabrone da 100 a 300 µg e la vespula da 38 a 130 µg.

Allergeni omologhi di specie diverse inducono la produzione di IgE che riconoscono epitopi comuni. Anticorpi cross-reattivi, che riconoscono epitopi simili di differenti veleni o epitopi simili tra veleni ed allergeni comuni, possono causare sensibilizzazioni multiple. L’immunoreattività tra il veleno di vespidi e apidi risulta scarsa a causa della bassa omologia di sequenza aminoacidica riscontrata tra queste due specie, mentre si presenta più alta tra i veleni di vespula, vespa e dolicovespula.

Il veleno di polistes ha dimostrato una bassa reattività crociata con quelli degli altri vespidi e una cross-reattività parziale tra veleni prodotti da specie americane con quelli di specie europee. Allineando le sequenze aminoacidiche di antigene 5 di polistes americani (P. exclamans, fuscatus, annularis) ed europei (P. gallicus, dominulus) si è visto che all’interno dello stesso subgenere sia americano che europeo si ha un’omologia del 98%, che scende all’ 85% se si confrontano subgeneri americani con europei.

Questo dimostra che anche nel caso di allergene notevolmente conservato come l’Antigene 5 si hanno delle differenze tra specie americane ed europee. Per allergeni che hanno un’omologia più bassa, come la fosfolipasi, è stato dimostrato che tra il P. gallicus (europeo) e il P. annularis (americano), vi è un omologia del 62%.

Al contrario gli allergeni maggiori di differenti api presenti nel mondo presentano elevata omologia. Vanno poi ricordati gli epitopi carboidrati comuni (CCD), responsabili di una cross-reattività anche tra specie a bassa omologia di sequenza come api e vespule. Questi dati assumono una notevole importanza nella formulazione di una corretta diagnosi allergologica e ci danno conto delle incongruenze tra anamnesi, manifestazione clinica e risultati dei test allergologici, che possono verificarsi quando non si utilizza una corretta gamma di veleni.

CONSIDERAZIONI EPIDEMIOLOGICHE

Dai lavori sulla prevalenza nella popolazione generale di soggetti punti da imenotteri emerge che, soprattutto nell’area mediterranea, la quasi totalità della popolazione è venuta a contatto con un pungiglione almeno una volta nella propria vita. Uno studio condotto in Italia su giovani reclute ha evidenziato che il 56,6% ricordava di essere stato punto nei primi venti anni della propria vita.

Altri lavori effettuati su una popolazione adulta hanno riportato percentuali comprese tra il 61 e il 75%, a seconda delle regioni esaminate in Francia, e del 94,5% in Turchia. Questi dati confermano che la percentuale sale notevolmente con l’aumento dell’età degli intervistati e delle ore trascorse all’aria aperta per ragioni lavorative o sociali.

Secondo i dati della letteratura scientifica, se effettuassimo i test cutanei o una determinazione delle IgE specifiche in una popolazione generale adulta asintomatica, dovremmo trovare una percentuale di positivi oscillante tra il 9,3 e il 28,7%. Nei bambini i valori sono nettamente più bassi e uno studio italiano ha evidenziato una prevalenza del 3,4%. Quasi tutti i lavori evidenziano percentuali di positivi più alte nel sesso maschile, legate alla maggiore esposizione degli uomini alle punture.

L’imenottero che provoca il maggior numero di sensibilizzazioni è la Vespula, sia per la sua particolare aggressività, che per la più intensa presenza nell’habitat umano. I soggetti sensibilizzati da precedenti punture ben tollerate, ad un successivo contatto possono presentare diverse manifestazioni cliniche, come una reazione locale estesa, con una prevalenza che varia dal 2,4% al 26,4% nella popolazione generale e può raggiungere il 38% tra gli apicoltori. Nei bambini sono stati riscontrati valori che vanno da 0,34% a 11,5% o addirittura al 19% in soggetti particolarmente esposti alle punture

La prevalenza di reazioni sistemiche più o meno gravi viene valutata tra 0,36% e 8,9% della popolazione, anche se sono stati pubblicati lavori con una prevalenza fino al 42,8%. In età pediatrica si registrano valori compresi tra 0,15% e 0,8%. Nel determinare la gravità delle reazioni, più che il grado di sensibilizzazione allergica o l’entità della reazione precedente, assume rilevanza l’intervallo tra le punture.

Si è visto infatti che dopo una puntura recente con reazione sistemica lieve si rischia una reazione più grave della precedente nel 14-79% dei casi negli adulti e nel 18% nei bambini. Sulla gravità della manifestazione influiscono anche il numero delle punture e la loro sede (quelle al capo e al collo provocano le reazioni più gravi), il tipo di insetto, la quantità di veleno inoculata, l’età e le condizioni cliniche generali.

Sono più a rischio i soggetti affetti da rinite e asma su base allergica ed i pazienti affetti da patologie cardiovascolari, soprattutto se utilizzano β-bloccanti o ACE-inibitori. Gli apicoltori professionisti sviluppano una buona tolleranza e raramente presentano reazioni generalizzate, in quanto vanno incontro ad una desensibilizzazione spontanea per la maggiore frequenza e regolarità delle punture ricevute, mentre i loro familiari e gli apicoltori dilettanti risultano meno tolleranti per l’incostanza degli incontri con gli aculei. I dati sulla mortalità per punture di imenotteri sono di difficile interpretazione.

Se ci atteniamo a quelli ufficiali, reperibili dai moduli delle cause di morte, dovremmo calcolare da 1 a 5 decessi ogni 10 milioni di abitanti/anno, con reazioni fatali estremamente rare nei bambini. Secondo i dati ISTAT in Italia sono state registrate 13 reazioni fatali dal 1980 al 1990 e 94 dal 1994 al 2003.

Tuttavia uno studio, che ha raccolto i dati di alcuni P.S. distribuiti in maniera omogenea sul territorio nazionale con un bacino d’utenza di circa 3 milioni di abitanti, ha registrato 2 decessi nel solo mese di settembre 1999. Questo dato rapportato all’intera popolazione italiana farebbe ipotizzare un numero di morti per puntura di Imenotteri più elevato.

Uno studio australiano ha evidenziato che su sette pazienti morti in seguito alla puntura di un vespide, ben cinque, pur essendo a conoscenza della propria allergia, non avevano mai iniziato un trattamento desensibilizzante, né erano forniti di farmaci per fronteggiare un eventuale emergenza. A conferma di quanto tale fenomeno sia diffuso, uno studio del 2005, che ha visto coinvolti 15 Dipartimenti di Emergenza degli USA e del Canada ha evidenziato che su 617 pazienti trattati per Anafilassi da veleno di Imenotteri il 77% sapeva di essere allergico, ma solo il 20% si era rivolto ad un allergologo e solo al 27% era stata prescritta l’Adrenalina Autoiniettabile.

Ritenendo cruciale il problema di un corretto inquadramento diagnostico e terapeutico, nel 2002 nella ASL Salerno/2 abbiamo invitato con una lettera i pazienti che si erano rivolti al pronto soccorso per una reazione allergica alla puntura di un imenottero. Il 40% dei contattati si è sottoposto all’iter diagnostico e in 8 è stata riscontrata una chiara allergia al veleno di Imenotteri e avviata l’immunoterapia specifica, agli altri sono state fornite precise indicazioni per prevenire future punture o limitarne le conseguenze.

Durante il primo anno di immunoterapia 5 dei pazienti trattati con il vaccino sono stati ripunti (uno addirittura dopo solo 15 giorni dall’inizio del trattamento desensibilizzante) manifestando solo lievi reazioni locali, regredite spontaneamente. Alla luce di questi dati, riteniamo che un’informazione capillare rivolta soprattutto ai medici di medicina generale e a quanti operano nei servizi di emergenza possa ridurre significativamente sia la mortalità per reazioni anafilattiche al veleno degli imenotteri, che la percentuale delle reazioni sistemiche in caso di ripuntura

MANIFESTAZIONI CLINICHE

La puntura di un Imenottero può provocare una reazione su base immunologica, che può essere IgE mediata o non IgE mediata, o anche una reazione non immunologica. Le reazioni sono generalmente classificate in locali, locali estese, sistemiche tossiche, sistemiche anafilattiche e reazioni insolite.

La reazione più comune è quella che viene definita locale estesa, caratterizzata da un edema intorno alla sede di puntura di almeno 10 cm di diametro, che persiste per più di 24 ore. Le reazioni sistemiche immunologiche, che generalmente insorgono entro 5-60 minuti dalla puntura, oltre alla cute possono coinvolgere l’apparato digerente, respiratorio e cardiovascolare con una gravità variabile che può portare anche a morte in pochi minuti. In alcuni casi la reazione anafilattica può avere un andamento protratto o iniziare a distanza di ore dalla puntura.

Una forma di anafilassi particolarmente temibile è quella bifasica, nella quale, dopo un apparente risoluzione, a distanza di 4 – 24 ore può aversi una ricomparsa della manifestazione; per tale motivo si raccomanda un osservazione clinica dei pazienti per almeno 24 ore dopo un episodio di anafilassi.

In rari casi una puntura di imenotteri può provocare reazioni insolite, non determinate da un meccanismo IgE mediato ed interessanti organi di solito non coinvolti nelle reazioni allergiche. Possono così verificarsi infarti cerebrali, nevriti centrali o periferiche, poliradicoliti tipo Guillain-Barrè, crisi epilettiche, artralgie, vasculiti, porpora trombocitopenica, anemia emolitica, aritmie cardiache, angina pectoris, infarto del miocardio, danni renali da glomerulonefrite o da sindrome nefrosica.

In seguito a punture multiple contemporanee prodotte da uno sciame, la notevole quantità di veleno inoculata può provocare una reazione sistemica tossica, caratterizzata da collasso cardiocircolatorio e morte per insufficienza renale acuta, dovuta all’emolisi e alla necrosi tissutale estesa.

fonti:

Unità Operativa di Allergologia ed Immunologia Clinica Ospedale “Amico” G. FUCITO - Mercato S. Severino (SA) Azienda Ospedaliera Universitaria OO. RR. S. Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona - Salerno ‘Unità Operativa di Allergologia ed Immunologia Clinica Azienda Ospedaliera S. Giuseppe Moscati - Avellino *Scuola di Specializzazione in Allergologia e Immunologia Clinica Università degli Studi Federico II - Napoli




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